
Antonio Cabrini ha tutto dalla vita, è bravo, bello, ricco e intelligente. A soli 26 anni può già vantare un titolo mondiale, quattro scudetti e la fascia di capitano della nazionale italiana.
Il bell'Antonio brucia tutte le tappe dentro e fuori i campi da gioco, abbandonerà il calcio giocato nel 1991. Ma la sua favola continua come allenatore e, contemporaneamente, tra palinsesti televisivi e salotti culturali (scrive un romanzo nel 2008 e intraprende la carriera politica nel 2009).
Ma la storia che stiamo per raccontarvi è quella dell'Antonio calciatore, quando tirava i primi calci nella squadra dell'oratorio di Casalbuttano, un paese vicino a Cremona.
Antonio nasce come ala sinistra, anche se il suo modello di calciatore era Gianni Rivera. Come tutti i bambini della sua età, dedicava una buona parte della giornata ad inseguire un pallone.
A quattordici anni viene arruolato nelle giovanili della Cremonese, ma viene "declassato" a terzino sinistro. Un ruolo che inizialmente gli và stretto, ma che si rivelerà fondamentale per la sua carriera. Così mette nel cassetto la fotografia di Rivera, sostituendola con quella di Giacinto Facchetti, un terzino col vizio del gol.
In soli tre anni passa dalla Serie C alllo scudetto, poi arriva anche la maglia azzurra.
Antonio Cabrini vola in alto ma riesce a stare sempre coi piedi per terra, vincente per natura con un unico peccato veniale, essere così bello da essere ribattezzato il bell'Antonio. Per anni è stato l'idolo delle ragazzine, con i suoi lineamenti perfetti e i modi gentili era diventato un eroe dei rotocalchi. Diventando campione e personaggio, tanto che per un attimo rischiò persino di perdere il posto nella Juventus.
Furono il Trap e Enzo Bearzot a fargli capire che la vita non è solo una favola.
Ma anche Cabrini ha un difetto, ha un piede solo. Tecnicamente è un fuoriclasse ma è tutto mancino, in campo e fuori. Nonostante il suo maestro Giovanni Trapattoni lo incitava ad usare anche il destro, Antonio usava un piede solo e con la destra non firmava nemmeno gli autografi.
Per diverse stagioni in bianconero, le sue incursioni sulla fascia sinistra si concludevano con perfetti cross per le torri, le teste erano quelle di Bobbygol (Robeto Bettega) e Roberto Boninsegna. Solo più tardi, quando questi due bomber sono usciti di scena, ha potuto spingersi nuovamente vicino alla porta riscoprendo il piacere del gol, tanto da riuscire a firmarne un discreto numero quasi come fosse un attaccante di razza.